Divisione. Quota legittima e quota disponibile
Come dividere il proprio patrimonio e a chi destinarlo. La quota legittima e la quota disponibile.
I legittimari, a chi spetta sempre e comunque una quota di eredità.
La legge prevede dunque che alcuni soggetti abbiano una particolare tutela, cioè che agli stessi sia riservata comunque una quota dell’eredità anche contro un’eventuale volontà del defunto espressa per testamento.
Questi soggetti sono:
– il coniuge anche separato purché senza colpa, e fino a quando non intervenga sentenza di divorzio, e a prescindere dal regime di comunione o di separazione dei beni. In caso di matrimonio in essere il coniuge superstite eredita sempre il diritto di abitazione nella casa coniugale. Quindi oltre alla quota di immobile che andrà in suo possesso ha il diritto di continuare ad abitare nello stesso appartamento vita natural durante;
– i figli, legittimi, legittimati, adottivi e naturali;
– i genitori, in mancanza di coniuge e figli.
In caso di concorso tra i soggetti innanzi indicati, la legge determina la quota di eredità riservata a ciascuno. Per calcolare la quota di patrimonio ereditario spettante a ciascun soggetto tutelato occorre comunque tenere conto anche di eventuali donazioni effettuate dal defunto che andranno computate necessariamente nella massa ereditaria. Nella pratica si procede alla formazione dell’asse ereditario detraendo dal valore dei beni lasciati in eredità la somma complessiva degli eventuali debiti; addizionando il valore delle eventuali donazioni effettuate dal defunto, per poi calcolare la quota di legittima.
La quota disponibile.
La legge prevede una quota cosiddetta “disponibile” che consente di devolvere una quota del proprio patrimonio in favore di una o più persone, escludendone altri. Ciò permette di destinare la quota disponibile anche ad uno dei soggetti tutelati dalla legittima. Nel caso il defunto lascia una moglie e un figlio, lo stesso avrebbe potuto disporre liberamente di una quota pari ad un terzo del suo patrimonio in favore esclusivo dell’uno o dell’altro ma anche in favore di terzi estranei. Se oltre alla moglie sono presenti più figli la quota di disponibile, di cui il defunto avrebbe potuto liberamente disporre anche in favore di terzi, è pari ad un quarto del patrimonio.
Il nuovo diritto internazionale privato delle successioni
Le successioni a partire dal 17 agosto 2015.
Quali effetti produrranno le modifiche apportate al diritto internazionale privato dal regolamento Europeo n. 650/2012
A partire dal 17 agosto 2015, data prevista per l’entrata in vigore del Regolamento Europeo n. 650/2012, importanti modifiche legislative riguarderanno, nell’ambito del diritto internazionale privato, la materia delle successioni. Il regolamento UE 650/2012, sarà applicabile negli Stati membri dell’Unione europea, con l’eccezione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito, a partire dal 17 agosto 2015. Si tratta di un testo ampio e complesso, che conta 83 considerando e 84 articoli, e regola tutti gli aspetti di diritto internazionale privato relativi alla successione come la competenza, la legge applicabile, la circolazione delle decisioni giudiziarie e degli atti pubblici. Il regolamento costituisce una normativa coerente e completa; gli aspetti meno soddisfacenti riguardano in particolare la possibilità di una scelta implicita della legge applicabile e la previsione di una clausola di eccezione, che rischiano di diminuire considerevolmente la prevedibilità della pianificazione ereditaria. Alcuni problemi pratici potranno derivare inoltre dalla assenza di leggi uniformi, tra gli Stati membri, in settori contigui.
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I. La legge applicabile alla successione a partire dal 17 agosto 2015.
Il criterio di collegamento oggettivo: la residenza abituale del defunto al momento della morte.
Il criterio di collegamento oggettivo adottato in via generale dal regolamento, ed applicabile all’intera successione senza distinzione tra beni mobili ed immobili, è costituito dalla residenza abituale del defunto al momento della morte. Non v’è dubbio, tuttavia, che esso introduce un cambiamento importante per gli Stati membri partecipanti, poiché attualmente sedici di essi, tra i quali appunto l’Italia e la Germania, utilizzano in materia il criterio della cittadinanza.
La preferenza accordata al criterio di collegamento della residenza si giustifica anzitutto perché la legge di tale paese è normalmente quella che presenta il collegamento più stretto con la fattispecie da regolare, dato che in esso sono solitamente situati il centro di vita della persona e i suoi interessi di carattere personale, familiare, professionale ed economico, nonché vi sono spesso localizzati altri elementi oggettivi e soggettivi, quali i beni compresi nell’asse ereditario, gli stessi eredi e legatari e i creditori. Certo, in alcuni casi il defunto potrebbe avere conservato legami più stretti con il proprio paese di cittadinanza o con un paese in cui ha risieduto anteriormente; tuttavia, la prima eventualità è statisticamente più frequente. La sottoposizione della successione alla legge della residenza facilita inoltre il family planning alle coppie di coniugi aventi diversa cittadinanza ma residenti nel medesimo paese perché fa coincidere la legge regolatrice della successione di ciascuna di essi con quella che normalmente si applica ai loro rapporti patrimoniali. Un secondo motivo a sostegno della soluzione accolta dal regolamento consiste nel vantaggio della tendenziale coincidenza tra forum e jus che essa determina, dato che l’ultima residenza abituale del de cujus è ugualmente assunta dal regolamento come criterio principale di competenza giurisdizionale.
II. Problematiche sottese al nuovo criterio della residenza abituale introdotto dal Regolamento Europeo 650/2012, rispetto al previgente principio di cittadinanza del defunto ai fini dell’individuazione della legge successoria applicabile.
Bisogna, infatti, aggiungere che il criterio di collegamento della residenza abituale presenta anche alcuni svantaggi rispetto a quello della cittadinanza. Per esempio, la residenza abituale può variare con maggiore facilità e frequenza rispetto alla cittadinanza. Le due situazioni che sollevano le difficoltà più rilevanti sono probabilmente le seguenti: in primo luogo, l’ipotesi in cui il defunto suddivideva la propria vita in maniera approssimativamente equilibrata fra due o più paesi, risiedendo alternativamente in ognuno di essi per periodi limitati; in secondo luogo, l’ipotesi in cui egli aveva risieduto per un periodo più o meno lungo in un paese straniero per ragioni professionali, per motivi di studio, per esigenze sanitarie o altro, pur avendo conservato legami stretti e costanti con il paese di origine. Un’altra situazione suscettibile di creare difficoltà nell’accertamento delle condizioni in base alle quali la residenza può essere considerata «abituale» è quella in cui una persona si sia trasferita in un nuovo paese poco prima della morte.
La flessibilità comportata dalla rinuncia ad una definizione formale della residenza abituale da parte del legislatore offre, d’altra parte, il vantaggio importante di permettere di affrontare il problema della sua determinazione concreta seguendo un approccio funzionale, cioè adattandone la nozione al contesto in cui il problema di presenta, in maniera da precisarne i contorni secondo le caratteristiche della materia da regolare o della questione particolare da risolvere.
Quanto, poi, all’ipotesi in cui «per motivi professionali o economici il defunto fosse andato a vivere all’estero per lavoro, anche per un lungo periodo, ma avesse mantenuto un collegamento stretto e stabile con lo Stato di origine» lo stesso articolo 24 del citato Regolamento ammette che, se il defunto aveva mantenuto «il centro degli interessi della sua famiglia e della sua vita sociale» nel suo paese di origine, si possa ritenere, alla luce delle circostanze, che vi abbia anche conservato la propria residenza abituale.
III. La clausola di eccezione o meglio “l’eccezione alla regola”.
Come già accennato, il riferimento alla legge del paese dell’ultima residenza abituale del de cujus (operato dall’art. 21, par.1) è completato dall’aggiunta di una clausola di eccezione (o Ausweichsklausel), contenuta nel par. 2 dell’articolo e formulata in termini del tutto classici, secondo cui, qualora, «in via eccezionale, dal complesso delle circostanze del caso concreto, risulti chiaramente che, al momento della morte, il defunto aveva collegamenti manifestamente più stretti con uno Stato diverso da quello la cui legge sarebbe applicabile ai sensi del paragrafo 1, la legge applicabile alla successione è la legge di tale altro Stato».
Ad ogni modo è certo che la presenza della clausola nel regolamento comporta una significativa dilatazione dei margini di discrezionalità offerti all’interprete nell’individuazione del diritto applicabile. Anche sotto questo aspetto l’introduzione nella nuova disciplina europea di questo ulteriore elemento di flessibilità sembra però presentare più inconvenienti che vantaggi. E’ certamente vero che l’applicazione della clausola può permettere di arrivare, in un numero di casi peraltro limitato, all’identificazione di una legge che ha con la successione dei legami obiettivamente più stretti di quelli che con essa possiede la legge del paese dell’ultima residenza abituale del defunto. Tuttavia il maggior grado di precisione e di accuratezza di valutazione in tal modo conseguito ha come contropartita una considerevole perdita di prevedibilità del diritto applicabile, suscettibile di provocare a sua volta, specie nelle situazioni che presentano caratteri di internazionalità particolarmente rilevanti, non lievi difficoltà di pianificazione ereditaria, e inoltre di costituire un incentivo alla moltiplicazione delle liti tra aspiranti alla successione.
III.1. La facoltà di scelta della legge nazionale: “Professio Juris”
L’adozione da parte del regolamento del criterio di collegamento dell’ultima residenza abituale del de cujus si fonda, come si è visto, sulla ragionevole presunzione che tale criterio consenta in un elevato numero di casi di individuare la legge che obiettivamente presenta i più stretti legami con la successione. Nonostante che questa ipotesi possa essere considerata a priori come la più probabile, resta però un certo spazio per la possibilità che la persona del de cujus, come pure altri rilevanti elementi della vicenda successoria, abbiano in realtà collegamenti di maggiore consistenza con la legge di uno Stato diverso. Al fine di accrescere l’adattabilità della disciplina di conflitto alle caratteristiche del caso di specie e di permettere il raggiungimento di soluzioni più conformi alle aspettative e alle esigenze delle parti interessate il regolamento aggiunge alla previsione della clausola di eccezione rappresentata dal riconoscimento al de cujus di una sia pur limitata facoltà di scelta del diritto applicabile alla sua successione
La facoltà di opzione in favore della legge nazionale è disciplinata dall’art. 22 del regolamento in maniera decisamente liberale dal momento che la disposizione consente alle persone che hanno più cittadinanze di scegliere la legge del paese di una qualunque di queste e permette altresì di scegliere la legge del paese di una cittadinanza non posseduta al momento della designazione purché la si possieda al momento dell’apertura della successione.
Quanto al rischio di abusi, consistenti per esempio in un trasferimento di residenza effettuato ad arte, unicamente per eludere l’applicazione di una legge successoria che non consenta, magari, la devoluzione dell’eredità nella forma desiderata, e che venga quindi utilizzata per frustrare le aspettative ereditarie dei legittimari, potrebbe rivelarsi utile, per contrastarne la validità e l’efficacia, ricorrere al principio della contraddittorietà all’ordine pubblico o, nella misura in cui il diritto dell’Unione e quello dello Stato membro implicato lo consentano, di frode alla legge.
III.2. La scelta della legge applicapile tacita: “Professio juris implicita”
Una modifica di rilievo apportata dall’art. 22, par. 2, del regolamento consiste nell’ammettere, accanto alla ordinaria possibilità di una professio juris formulata in modo espresso «nella forma di una disposizione a causa di morte», anche la possibilità di una professio tacita o, come è probabilmente più corretto dire, implicita e cioè risultante solo implicitamente «dalle clausole di tale disposizione». Si tratta di una soluzione non accolta né dalla Convenzione dell’Aja del 1989 né dalla maggior parte delle legislazioni degli Stati membri ma che viene considerata ammissibile, in sede di interpretazione delle pertinenti norme nazionali di conflitto, dalla dottrina e dalla giurisprudenza in Svizzera e, sebbene con maggiore cautela, pure in Germania.
Gli elementi principali che vengono generalmente indicati come idonei a permettere di dedurre l’esistenza della volontà implicita del de cujus di sottoporre la successione ad una determinata legge sono costituiti dal riferimento contenuto in una disposizione di ultima volontà a norme, istituti o nozioni propri della legge in questione, come nell’esempio classico, frequentemente addotto, della costituzione di un trust testamentario da parte del cittadino di un paese di common law.
Minore rilievo rivestirebbero invece, almeno se presi isolatamente, indizi quali la lingua di redazione dell’atto o il fatto che questo sia stato rogato da un notaio del paese la cui legge è quella che potrebbe aver formato oggetto di scelta, benché essi siano stati a volte presi in considerazione dalla giurisprudenza, mentre circostanze estranee all’atto potrebbero al più assumere valore meramente confermativo degli elementi ricavabili dal testo del medesimo.
Anche il regolamento sembra sostanzialmente aderire a questa impostazione dal momento che la prescrizione dell’art. 22, par. 2, secondo cui la sussistenza della professio juris deve comunque potersi desumere dai termini della disposizione a causa di morte è completata dalle precisazioni fornite, sia pure a titolo soltanto esemplificativo, dal considerando 39, il quale aggiunge che detta condizione potrebbe, in particolare, ritenersi soddisfatta qualora il defunto «abbia fatto riferimento a specifiche disposizioni della legge del suo Stato di cittadinanza o abbia altrimenti menzionato tale legge».
IV. La legge applicabile alla validità, alla modifica e alla revoca della disposizione a causa di morte
La validità formale della professio juris è peraltro regolata dall’art. 22, par. 2, (soltanto indirettamente e, più precisamente, per relationem), dal momento che la norma si limita a richiedere che la professio sia effettuata «a mezzo di una dichiarazione resa nella forma di una disposizione a causa di morte», salvo la possibilità, di cui si è detto, di una professio implicita e cioè «risultante dalle clausole di tale disposizione». All’insieme di problemi così determinato l’art. 22, par. 3, dichiara applicabile la stessa legge oggetto di scelta.
La modifica e la revoca della professio sono disciplinate dal regolamento in modo meno chiaro e meno completo, nonostante che rispetto ad esse si pongano vari problemi di soluzione non agevole. L’art. 22, par. 4, ne regola unicamente la validità formale, sottoponendola, simmetricamente a quanto stabilisce il par. 2 dello stesso articolo in relazione alla forma dell’atto originario di scelta, alle condizioni previste per la modifica o la revoca delle disposizioni a causa di morte. Anche riguardo alla modifica e alla revoca della professio viene quindi così ad essere richiamato indirettamente l’art. 27 del regolamento, che detta appunto la disciplina della validità formale di quegli atti.
Uno dei problemi classici che si pongono relativamente alla revoca della professio juris consiste nel chiedersi se e a quali condizioni essa sia da considerare implicita nella revoca o nella modifica di un testamento o altro atto contenente disposizioni a causa di morte. La revoca dell’atto cui la professio si presenta connessa può naturalmente aver luogo in modi differenti, quali, ad esempio, una dichiarazione espressa, la redazione di nuove disposizioni totalmente o parzialmente incompatibili con quelle anteriori o la distruzione materiale del documento in cui l’atto medesimo è racchiuso.
Nonostante la sua notorietà, il problema non è quasi mai specificamente affrontato né dai testi di diritto internazionale privato uniforme, né dalle codificazioni nazionali. Anche il regolamento si allinea a questo generale orientamento205. Ciò nondimeno, l’art. 22 fornisce elementi sufficienti a permettere di dare a tale problema una soluzione negativa. Infatti, a differenza dal par. 2 dell’articolo in questione, che, come si è visto, ammette che la professio juris possa risultare implicitamente dalle clausole di un atto contenente disposizioni a causa di morte, il par. 4 esclude chiaramente la stessa possibilità riguardo alla revoca e alla modifica della professio, richiedendo invece che esse soddisfino le condizioni di forma previste per la modifica o la revoca di quelle disposizioni. D’altra parte l’art. 27, concernente la validità formale delle disposizioni a causa di morte e che viene così ad essere indirettamente richiamato, si applica unicamente alle disposizioni a causa di morte che siano state formulate «per iscritto».
Evidenti ragioni di sicurezza dovrebbero in ogni caso indurre le persone interessate a non mancare mai di precisare con chiarezza all’atto della revoca delle proprie disposizioni a causa di morte la loro volontà relativa alla sorte dell’eventuale designazione del diritto applicabile alla loro successione che esse abbiano effettuato (contestualmente o separatamente) in aggiunta alle prime.
V. La legge regolatrice dell’ammissibilità e della validità sostanziale delle disposizioni a causa di morte.
Come si è ripetutamente accennato, l’adozione da parte del regolamento del criterio di collegamento obiettivo dell’ultima residenza abituale del defunto, pur potendosi ritenere giustificata dall’idoneità di tale criterio ad individuare nella maggioranza dei casi la legge con cui la successione è più strettamente connessa, presenta tuttavia il non lieve inconveniente di rendere malferma ed incerta la pianificazione ereditaria delle persone che non sono in grado di prevedere con sicurezza in quale paese si localizzerà la loro residenza abituale al momento del loro decesso. Ciò è particolarmente vero riguardo alla validità e all’efficacia delle disposizioni a causa di morte che possono essere contenute in un testamento o in un patto successorio. Un mutamento del paese di residenza intervenuto nell’intervallo di tempo compreso tra il momento dell’adozione delle disposizioni a causa di morte interessate e il decesso della persona della cui eredità si tratta potrebbe infatti determinare il poco soddisfacente risultato che disposizioni che sarebbero state pienamente valide ed efficaci secondo la legge del paese della residenza anteriore dovrebbero invece essere considerate nulle o comunque prive di effetto in base alla nuova legge divenuta applicabile in seguito al trasferimento della residenza in un diverso paese.
Al fine di evitare o almeno ridurre la possibilità che si verifichino simili situazioni di instabilità e di incertezza alcune legislazioni ricorrono all’accorgimento di sottoporre l’ammissibilità, la validità sostanziale e a volte, in più o meno ampia misura, anche gli effetti delle disposizioni a causa di morte alla c.d. legge successoria «anticipata» o «ipotetica», e cioè alla legge che sarebbe stata applicabile alla successione qualora essa si fosse aperta al momento del compimento dell’atto che contiene le disposizioni in questione. La maggior parte delle leggi che accolgono soluzioni del genere, quali, ad esempio, tra le leggi degli Stati membri, quelle austriaca, spagnola e tedesca, le estende indifferentemente ad ogni sorta di disposizioni a causa di morte senza distinguere a seconda del tipo di atto – testamento, testamento congiuntivo o patto successorio – in cui sono inserite.
V.1. Legge regolatrice dei patti successori
Alla categoria dei patti successori si presta ad essere ricondotta, benché in maniera non sempre sicura ed incontrovertibile, una gamma considerevolmente vasta di figure, di cui alcune presentano elementi o caratteri comuni ad istituti rientranti in categorie diverse e per lo più escluse dall’ambito di applicazione del regolamento, quali, ad esempio, le donazioni o altre specie di contratti, i trusts e gli accordi relativi ai rapporti patrimoniali tra coniugi. La determinazione esatta del contenuto della categoria in questione è quindi destinata a far sorgere non pochi problemi di delimitazione, parecchi dei quali non potranno ricevere soluzione certa e definitiva che dalla giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia. Si è già visto peraltro che l’art. 3, par. 1, lett. b), offre di tali patti una definizione, sostanzialmente mutuata dall’art. 8 della Convenzione dell’Aja del 1989 e che vi include ogni «accordo, anche derivante da testamenti reciproci, che conferisce, modifica o revoca, con o senza corrispettivo, diritti nella successione futura di una o più persone parti dell’accordo». Si tratta di una nozione formulata in termini deliberatamente ampi, in modo da renderla atta a ricomprendere la massima parte degli accordi concernenti la devoluzione della successione previsti dagli ordinamenti nazionali, oltre ai testamenti congiuntivi recanti disposizioni a causa di morte corrispettive o interdipendenti, che non dovrebbero a rigore essere qualificati come accordi.
Ad essa sono dunque senza dubbio riconducibili tutte e tre i tipi di patti successori rientranti nella tripartizione tradizionale tra patti attributivi, rinunciativi e dispositivi, sempre che tuttavia siano conclusi con la partecipazione della persona o delle persone le cui eredità sono implicate. L’esistenza di questa restrizione, desumibile chiaramente dalla definizione sopra riferita, ha come conseguenza che i patti dispositivi con i quali una parte dispone a favore di un’altra dei diritti che le spettano nella futura successione di un terzo non partecipe all’accordo non sono suscettibili di venire ascritti alla categoria in esame e devono pertanto essere considerati come semplici contratti sottoposti alla legge normalmente competente a disciplinarli ai sensi del regolamento 593/2008 (Roma I). Meno facile è stabilire se siano qualificabili come patti successori i contracts to make (o not to make) a will propri del diritto inglese e degli altri paesi di common law.
Il diritto successorio italo-tedesco da applicarsi sino al 16.08.2015
Il diritto successorio italo-tedesco secondo il principio della cittadinanza
Da applicarsi sino al 16.08.2015 per effetto dell’entrata in vigore (a partire dal 17.08.2015) del Regolamento Europeo n. 650/2012 che sancisce che, per l’individuazione della legge applicabile all’intera successione, debba farsi riferimento all’ultima residenza del defunto e non più alla sua cittadinanza.
La successione per causa di morte di soggetti residenti all‘estero è regolata, in applicazione del principio di cittadinanza, dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte.
In caso di cittadinanza italiana la successione va generalmente regolata dalla legge italiana. In alternativa, il cittadino italiano residente in Germania, ha la possibilità di optare, a mezzo testamento pubblico, per l‘applicazione del diritto successorio tedesco.
Stesso principio si applica naturalmente al caso inverso, e cioè, al cittadino tedesco con residenza in Italia. La successione sarà regolata, in assenza di scelta diversa, dal diritto tedesco.
Da tenere presente, però, che la regolamentazione successoria del diritto estero non si estende alle previsioni relative all‘apertura della successione e/o alla trascrizione di beni immobili. A tali formalità continuerà ad applicarsi, a prescindere dalla scelta effettuata dal de cujus, il diritto del luogo dove si trova il patrimonio.
La scelta della disciplina normativa applicabile comporta naturalmente conseguenze diverse. Ad esempio l‘ordinamento tedesco, a differenza dell‘ordinamento italiano, offre la possibilità di redigere testamenti congiunti o reciproci – i cosi detti Erbvertrag o gemeinschaftliches Testament (Berliner Testament) – attraverso i quali si può disporre congiuntamente in favore di terzo o disporre in maniera reciproca.
Un esempio pratico potrebbe aiutare a meglio comprendere le diverse regolamentazioni normative previste dai due ordinamenti. Considerato l‘estrema complessità dell‘argomento ci si limiterà ad esporre il seguente caso in maniera semplice, senza dilungarsi in formali quanto sterili tecnicismi e condizionamenti. Supponiamo che Tizio, cittadino italiano residente in Germania, abbia avuto una relazione extraconiugale con una cittadina tedesca e che da tale relazione sia nato un figlio, al quale Tizio ha corrisposto, anche solo temporaneamente, gli alimenti. Supponiamo, ancora, che Tizio, successivamente, abbia contratto matrimonio con una cittadina italiana e che sia diventato padre di altri due figli.
In applicazione, in materia successoria, del principio di cittadinanza e in assenza di diversa volontà, al cittadino italiano (Tizio, nel nostro caso) residente in Germania si applica la legge successoria italiana. In seguito a decesso di Tizio, si profilerebbe, pertanto, la seguente regolamentazione ereditaria: i figli naturali e i figli legittimi, intendendosi per naturali i figli nati fuori dal matrimonio e per legittimi i figli nati dal matrimonio, succedono al padre in parti uguali. In sostanza i figli naturali, sono, equiparati in tutto e per tutto ai figli legittimi e concorrono in egual misura con questi ultimi. Nessuna diversa volontà o deroga a tale principio è possibile esprimere in forma testamentaria in quanto, la legge italiana, riserva a favore dei figli, naturali e legittimi, la così detta quota di legittima.
Al di fuori di ogni principio morale, se nel caso specifico Tizio intende evitare che il figlio naturale, nato dal rapporto extraconiugale, concorra in egual misura con i propri figli legittimi potrebbe optare per l‘applicazione del diritto successorio tedesco. Ma ciò non basta, in quanto anche la disciplina successoria tedesca equipara i figli naturali ai figli legittimi. La successione tedesca, però, a differenza di quella italiana, pur riconoscendo una quota di legittima in favore del figlio naturale, consente, a determinate condizioni, di limitare in maniera significativa la quota da destinare al figlio naturale.
Per ottenere un tale effetto Tizio potrebbe, infatti, con testamento pubblico:
optare per l‘applicazione del diritto successorio tedesco; 2) nominare come suoi unici eredi, oltre al coniuge, i due figli legittimi; 3) rinunciare, eventualmente, alla sua quota di legittima nei confronti della coniuge, cosiddetto Pflichtteilsverzicht, per il caso di premorienza della coniuge, poichè, altrimenti, verrebbe a determinarsi un incremento del patrimonio di Tizio.
In tal modo la quota di riserva, cosiddetto Pflichtteil, destinata al figlio naturale potrebbe essere ridotta ad 1/15 dell‘asse ereditario. Inoltre, è da tenere presente, che a differenza della normativa italiana la quota di riserva venutasi così a determinare, costituisce diritto di credito. Pertanto, gli eredi nominati potranno dare seguito alla liquidazione in danaro della quota di riserva destinata al figlio naturale.
Il certificato successorio europeo
Altra importante novità introdotta dal Regolamento Europeo n. 650/2012 che entrerà in vigore a partire dal 17 agosto 2015, è costituito dalla creazione di un certificato successorio europeo. Secondo gli auspici del legislatore europeo, tale documento dovrebbe permettere di dimostrare con esattezza gli elementi accertati in forza della legge applicabile alla successione o di altra legge applicabile a elementi specifici, come la validità sostanziale delle disposizioni a causa di morte. Tale certificato, che dovrà essere automaticamente riconosciuto nei Paesi vincolati alla norma, dovrebbe però avere solo forza probatoria (non dovrebbe essere di per sé un titolo avente efficacia esecutiva). In tale contesto l’erede, il legatario, e gli altri soggetti aventi interesse alla successione come l’esecutore testamentario o il curatore dell’eredità giacente potranno dimostrare con facilità la propria qualità e/o i propri diritti e poteri in ogni altro Stato membro attraverso il rilascio del certificato da parte dell’autorità competente. Il certificato che può essere emesso anche parzialmente quanto al suo contenuto è predisposto in un modello uniforme e tradotto nelle diverse lingue dei Paesi membri. Per quanto riguarda il contenuto il certificato dovrà contenere:
- Il nome e l’indirizzo dell’autorità di rilascio;
- Il numero di riferimento del fascicolo;
- gli elementi in base ai quali l’autorità di rilascio si ritiene competente a rilasciare il certificato;
- la data del rilascio;
- le generalità del richiedente;
- le generalità del defunto;
- le generalità dei beneficiari;
- I dati relativi a eventuali convenzioni matrimoniali stipulate dal defunto o, se del caso, eventuali convenzioni stipulate dal defunto nel contesto di un rapporto che secondo la legge applicabile a quest’ultimo ha effetti comparabili al matrimonio e i dati relativi al regime patrimoniale tra coniugi o a un regime equivalente;
- la legge applicabile alla successione e gli elementi sulla cui base essa è stata determinata;
- l’indicazione se si tratta di una successione regolata da una disposizione a causa di morte o di una successione legittima, comprese le informazioni sugli elementi da cui derivano i diritti e/o i poteri degli eredi, legatari, esecutori testamentari o amministratori dell’eredità;
- se del caso, per ogni beneficiario le informazioni relative alla natura dell’accettazione dell’eredità o della rinuncia alla stessa;
- la quota ereditaria di ciascun erede e, de del caso, l’elenco dei diritti e/o beni spettanti a ogni erede;
- l’elenco dei beni e/o diritti spettanti a ogni legatario;
- le restrizioni ai diritti del o degli eredi e, se del caso, del o dei legatari in forza della legge applicabile alla successione e/o disposizione a causa di morte;
- i poteri dell’esecutore testamentario e/o dell’amministratore dell’eredità e le restrizioni a tali poteri in forza della legge applicabile alla successione e/o della disposizione a causa di morte.
Al certificato è riconosciuto un particolare valore giuridico in tutti i Paesi membri, in quanto costituisce prova legale di tutto quanto vi è indicato ed è utilizzabile anche ai fini delle trascrizioni ed iscrizioni in pubblici registri.
Esso sarà rilasciato dall’organo giurisdizionale competente dello Stato membro che ha giurisdizione sulla successione, su istanza di parte, ed avrà una validità limitata a sei mesi. In osservanza al principio di sussidiarietà, esso non sostituirà eventuali documenti interni utilizzati a scopi analoghi negli Stati membri. Da segnalare che, nel rispetto dei diversi sistemi che trattano la questioni successorie negli Stati membri, ai fini del presente regolamento il termine “organo giurisdizionale” è da doversi intendere in senso ampio, poiché, comprende non solo gli organi puramente giudiziari, ma anche tutte le altre autorità (si pensi agli uffici tributari, alle cancellerie) e i professionisti legali (come i notai) competenti in materia di successioni, i quali possono essere competenti in materia di successioni esercitando funzioni giudiziarie su delega o sotto controllo dell’autorità giudiziaria.
Questa nuova forma di documentazione giuridica della devoluzione ereditaria è in linea con le normative di molti Stati europei in materia di certificazione dell’eredità, ed è finalizzata a maggiore certezza nell’accertamento della situazione giuridica derivante dall’apertura della successione causa di morte.
Infatti con l’introduzione di questo strumento si presume fino a prova contraria che la persona indicata come erede o come legatario sia titolare dei diritti enunciati nel certificato, così come si presume che l’esecutore testamentario o l’amministratore della successione sia titolare dei poteri e degli obblighi enunciati nell’atto.
La successione in Germania
La successione del coniuge superstite
La legge tedesca prevede una regolamentazione particolare per il coniuge superstite al quale, in costanza di matrimonio, è stato applicato il regime legale della comunione del plusvalore (la Zugewinngemeinschaft). Infatti, la coniuge eredita:
– 1/2 della successione se vi sono discendenti (figli); 3/4 della successione se vi sono eredi della stirpe dei genitori (genitori o loro discendenti); 3/4 della successione se vi sono eredi due nonni; 3/4 + la quota degli zii e loro discendenti se vi sono un nonno e eredi della stirpe degli zii; l‘intera successione se non ci sono né discendenti, né genitori e nonni.
La quota legittima
La successione dei legittimari avviene in favore di alcune categorie di successibili, ai quali la legge attribuisce il diritto intangibile ad una quota del patrimonio indipendentemente dalle disposizioni nel testamento. I legittimari sono esclusivamente il coniuge superstite, i figli legittimi ed i loro discendenti, i figli naturali ed i loro discendenti nonchè i genitori del defunto. La quota è del 50 % dell‘eredità legittima.
Il testamento
Il diritto tedesco distingue fra due forme di testamento: il testamento olografo, redatto, datato e sottoscritto di pugno dal testatore e il testamento pubblico, depositato e/o redatto dinanzi a Notaio. Il diritto tedesco ammette inoltre, a differenza dell‘ordinamento italiano, il testamento congiunto dei coniugi o con disposizioni reciproche (Berliner Testament) redatto, datato e sottoscritto di pugno dai testatori.
Il patto successorio
Altro istituto normativo in vigore in Germania è il patto successorio, che si differenzia dal testamento in quanto non è revocabile. Il patto successorio è una convenzione fra due o più persone con cui un soggetto dispone della propria successione. È un negozio giuridico unilaterale avente ad oggetto dichiarazioni di ultima volontà che, come già detto, non sono modificabili unilateralmente dal dichiarante. Il patto successorio deve necessariamente avere la forma dell‘atto pubblico e viene, pertanto, redatto dalle parti dinanzi a Notaio.
Il certificato di eredità
Il certificato di eredità comprova sul piano giuridico lo status di erede. In caso di successione gli uffici catastali, le banche e gli enti previdenziali, prima di procedere alla trascrizione immobiliare o al versamento dell‘importo dovuto di norma chiedono agli eredi di presentare il certificato di eredità (Erbschein). Viene rilasciato dal Tribunale del luogo di residenza del defunto previa formale domanda di rilascio. Nel caso in cui l‘erede risiede in Italia tale certificato può essere richiesto presso la rappresentanza consolare tedesca competente.
Il Codice civile distingue tra successione legittima e successione testamentaria non facendosi luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria. La successione legittima è la successione di taluni parenti legati al de cuius da stretti legami di parentela che il legislatore riconosce come soggetti meritevoli di tutela. La successione testamentaria è determinata, invece, dall‘esistenza di un testamento olografo, pubblico o segreto del testatore.
Successione necessaria
Non è ammesso, secondo l‘ordinamento italiano, violare, anche a mezzo testamento, i diritti successori riservati dalla legge ai legittimari. Sono considerati tali il coniuge, i discendenti (figli, nipoti) e gli ascendenti (genitori, nonni). Quando ciò si verifica la volontà testamentaria viene disattesa per garantire che le quote minime stabilite dalla legge, e riservate agli eredi estromessi, siano rispettate.
La rinuncia
Il chiamato all‘eredità ha la facoltà di rinunciare alla stessa. La rinuncia va necessariamente espressa e dichiarata dinanzi a Notaio o dinanzi al cancelliere del Tribunale del luogo di residenza del defunto, nelle forme stabilite dalla legge. L‘atto di rinuncia così espresso è iscritto nel registro delle successioni e trascritto nei registri immobiliari.
Accettazione con beneficio d‘inventario
Il chiamato all‘eredità può, come già anticipato, accettare o rinunciare all‘eredità. Egli può, altresì, accettare l‘eredità con beneficio d‘inventario. Il beneficio d‘inventario produce l‘effetto di tenere separati il patrimonio dell‘erede da quello de cuius. Pertanto, con tale scelta, l‘erede risponderà delle passività ereditarie con il solo patrimonio ereditario fino alla sua concorrenza, senza incorrere nel rischio che, in caso di incapienza, i creditori del defunto possano aggredire il patrimonio personale dell‘erede.
La dichiarazione di successione
Per ciò che concerne gli obblighi fiscali il legislatore sancisce l‘obbligo di denuncia di successione. La denuncia di successione è una dichiarazione espressa degli eredi legittimi o degli eredi testamentari con la quale vengono dichiarati i beni immobili e mobili a loro pervenuti a titolo successorio. Oltre ai dati anagrafici del defunto e degli eredi, nella dichiarazione di successione è necessario indicare: la descrizione analitica degli immobili ereditati; gli estremi del versamento delle imposte (ipotecaria e catastale) autoliquidate dagli eredi; le dichiarazioni previste dalla legge per usufruire dell‘applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa, se nell‘eredità vi è un‘abitazione costituente “prima casa” per almeno uno degli eredi.
Allegati alla dichiarazione di successione
Alla dichiarazione, tra gli altri, devono essere allegati: il certificato di morte e stato di famiglia del defunto e degli eredi (o autocertificazione); copia originale o autenticata del testamento, nel caso di successione testamentaria; nel caso di rinuncia all‘eredità da parte di un chiamato, originale o copia autentica del verbale, copia autentica dell‘atto pubblico o della scrittura privata autenticata dai quali risulti l‘eventuale accordo delle parti per l‘integrazione dei diritti di legittimità lesi; copia del modello di versamento (Modello F23) delle imposte ipotecaria e catastale; prospetto delle imposte auto liquidate.
Le donazioni: differenze tra la disciplina tedesca e quella italiana
Altro istituto attinente alla materia successoria, la cui disciplina si distingue in maniera significativa nei due ordinamenti, è dato dalla “donazione”. Per l‘ordinamento italiano le donazioni fatte dal defunto in favore di uno degli eredi legittimi può essere computata successivamente nell‘asse ereditario. Il legislatore tedesco, con recentissima modifica legislativa, ha stabilito che le donazioni non possono essere computate nell‘asse ereditario trascorsi dieci anni dall‘atto di donazione. Mentre, per ogni anno trascorso, si ha una diminuzione del 10% del valore della donazione. Se Tizio, per esempio, tre anni prima del decesso ha dato seguito ad una donazione in favore di taluno, il valore della donazione da computare nella quota di legittima riservata all’erede diminuisce del 30%. Tale disciplina non è applicabile alle donazioni tra coniugi. Per tali casi, il legislatore tedesco, ha ritenuto che le donazioni continueranno a poter essere interamente computate nell’asse ereditario a prescindere dal lasso di tempo trascorso dall‘atto di liberalità.
La morte di una persona determina la chiamata dei suoi successori all’eredità. Tale chiamata, detta anche vocazione all’eredità, non comporta per i chiamati l’acquisto automatico della qualità di erede e il subentro nella totalità dei rapporti trasmissibili del defunto: l’ordinamento prevede che ciò avvenga susseguentemente ad un atto di manifestazione della volontà del chiamato, costituito dall’accettazione. Correlativamente, il chiamato all’eredità è libero di rinunciare ai diritti (e di evitare l’accollo dei relativi oneri) che l’assunzione della qualità di successore comporta. A tale fine l’ordinamento prevede il compimento di un atto definito rinunzia all’eredità. La rinunzia all’eredità è disciplinata al capo VII del titolo I, libro II del codice civile. La rinunzia all’eredità è un atto unilaterale non recettizio, ossia una dichiarazione non rivolta ad un destinatario determinato. Mediante tale dichiarazione, il chiamato all’eredità manifesta la sua volontà di non assumere la qualità di erede del defunto. Chi rinunzia all’eredità è considerato come non vi fosse mai stato chiamato: essa ha pertanto effetto retroattivo. Il rinunziante, comunque, può ritenere le donazioni ricevute e richiedere il legato di cui sia stato reso beneficiario dal testatore (articolo 521 del codice civile). Questo, beninteso, sino al concorrere del valore dei beni oggetto di donazione o di legato con il valore della quota disponibile, poiché, in caso di eccedenza del primo valore sul secondo, le disposizioni testamentarie e le donazioni eccedenti sono soggette all’azione di riduzione a tutela dell’integrità della quota di legittima da parte degli eredi legittimi in tutto o in parte pretermessi. La rinunzia non può essere sottoposta a condizione o a termine, né può essere parziale (articolo 520 del codice civile). Inoltre, la rinunzia fatta contro un corrispettivo importa accettazione dell’eredità e analogo effetto ha la rinunzia che sia fatta in favore solo di alcuni e non di tutti i chiamati (articolo 478 del codice civile). La rinunzia all’eredità, se compiuta nell’ambito di una successione legittima, comporta l’accrescimento della parte del rinunziante in favore di coloro che avrebbero concorso con lui nella successione (articolo 523 del codice civile). Concorre tuttavia con l’accrescimento l’applicazione dell’istituto della rappresentazione (articoli 467 e seguenti del codice civile), in virtù del quale i discendenti legittimi o naturali di colui che non vuole accettare l’eredità gli subentrano, nonché quanto disposto dall’articolo 571 comma 2 del codice civile, in virtù del quale, qualora la rinuncia provenga da vocati all’eredità che siano genitori in concorso con ascendenti del defunto, la quota che sarebbe spettata ai rinunzianti si devolve agli ascendenti stessi. Qualora la rinunzia sia compiuta nell’ambito di una successione testamentaria e il testatore non abbia disposto la sostituzione (cioè non abbia stabilito nel testamento che in caso di rinuncia del vocato all’eredità sia chiamata un’altra persona) si verifica l’identico fenomeno dell’accrescimento della quota del rinunziante ai coeredi, ovvero la devoluzione della medesima agli eredi legittimi (articolo 524 del codice civile).Nel termini di prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità, che è pari a dieci anni (articolo 480 del codice civile), l’intervenuta rinunzia può essere revocata, attraverso una dichiarazione di accettazione dell’eredità. Si tratta di una facoltà che non è prevista per l’accettazione, che invece è atto irrevocabile. Al tempo stesso, tale facoltà incontra un limite ulteriore al termine decennale prima ricordato: l’eredità non deve essere già stata accettata, nel frattempo, da altro chiamato cui la rinuncia ha giovato (articolo 525 del codice civile) e comunque senza pregiudizio per i terzi che abbiano acquistato ragioni sopra i beni dell’eredità.
COME SI FA
La dichiarazione di rinunzia deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. Essa viene inserita nel registro delle successioni (articolo 519 del codice civile) che è tenuto presso la cancelleria di ogni Tribunale, a cura del cancelliere. Il registro è diviso in tre parti, di cui la seconda è appositamente prevista per l’inserimento degli atti di rinunzia all’eredità (articolo 52 delle disposizioni di attuazione del codice civile). Il registro può essere esaminato da chiunque ne faccia domanda e la cancelleria deve rilasciare gli estratti e i certificati che le vengano richiesti (articolo 53 delle medesime disposizioni). La dichiarazione di rinunzia può essere impugnata da chi l’ha resa qualora sia stata effetto di violenza o dolo. Non è prevista invece la possibilità di impugnare la rinunzia per errore, laddove il rinunziante abbia errato circa la consistenza dell’asse ereditario. In questi casi egli potrà revocare la rinunzia precedentemente intervenuta, nei limiti in cui questo è ammesso dall’ordinamento (articolo 526 del codice civile).
I creditori del rinunziante possono essere pregiudicati dalla rinunzia che questi abbia fatto dell’eredità, qualora dalla rinunzia derivi il mancato ingresso di uno o più cespiti nel patrimonio del rinunziante, che, si ricorda, costituisce garanzia delle obbligazioni da questi assunte, secondo l’articolo 2740 del codice civile. In tale caso, anche qualora la rinunzia non consegua a frode ai danni dei creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e per conto del rinunziante (articolo 524 del codice civile). Ciò allo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari, ma limitatamente al concorso tra il valore dei crediti vantati e il valore di beni ereditari e non oltre.
CHI PUO’ RINUNCIARE
Per rinunziare all’eredità è necessario esservi stati chiamati. Il chiamato all’eredità che sia nel possesso dei beni ereditari, ove siano trascorsi tre mesi dal giorno dell’apertura della successione senza che abbia provveduto all’inventario dei beni ereditari di cui all’articolo 485 del codice civile, non può più rinunziare all’eredità ed è considerato erede puro e semplice. Decade inoltre dalla facoltà di rinunziare all’eredità il chiamato all’eredità che abbia sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa, e, nonostante un’eventuale intervenuta rinuncia, viene considerato erede puro e semplice (articolo 527 del codice civile).
Domande Frequenti
- Chi ha ricevuto donazioni o legati e vuole rinunziare all’eredità può trattenere quanto ricevuto a titolo di liberalità?
Si, ma non senza limiti. L’articolo 521 del codice civile dispone la possibilità per il rinunziante di ritenere la donazione o di domandare il legato a lui fatto, ma solo nei limiti del concorso del valore di tali liberalità con il valore della porzione disponibile dell’eredità.
- È possibile accettare l’eredità dopo che sia intervenuta una precedente rinunzia?
L’ordinamento consente a colui che ha rinunziato all’eredità di revocare tale atto, ma non illimitatamente.In primo luogo la revoca dovrà intervenire prima che sia spirato il termine per l’esercizio del diritto di accettazione dell’eredità, quindi entro i dieci anni dal momento dell’apertura della successione.
In secondo luogo la revoca non può comunque pregiudicare i diritti di coloro che, susseguentemente alla rinunzia e prima della revoca, abbiano accettato l’eredità o dei terzi che abbiano acquistato ragioni sopra i beni dell’eredità.
- È possibile rinunziare all’eredità contro un corrispettivo?
Si, ma la rinunzia operata verso un corrispettivo viene riqualificata dal codice civile, all’articolo 476, come forma di accettazione tacita dell’eredità. Chi rinunzia contro corrispettivo, lungi dall’evitare l’acquisto della qualità di erede, diviene tale.
- È possibile rinunziare parzialmente all’eredità?
No: la rinunzia parziale all’eredità è sanzionata dall’articolo 520 del codice civile con la nullità.